Tanto quanto il mare, la musica, la pizza, il babà, la sfogliatella e il mandolino, famosa in tutto il mondo è la convivialità napoletana.
I luculliani pranzi partenopei, noti per l’abbondanza e la durata, avrebbero mai potuto smentirsi nella festa dell’abbondanza per eccellenza?
Il martedì grasso, concorrono ad imbandire le tavole di Napoli succulenti pietanze, capisaldi del menù del capoluogo campano:
Zuppà e’ soffrìtt , lasàgne napulitane, carciòffole indoràte e frìtte, polpètte e braciole. E alla fine di ogni pranzo che si rispetti non possono mancare loro: i dolci, blasonati della tavola. E anche qui l’imbarazzo della scelta: migliaccio, chiacchiere, sanguinaccio e zeppole.
Il migliaccio o torta di semolino ha origine antiche. Come suggerisce il nome stesso, milliaccium, era una torta fatta con la farina di miglio e sangue di maiale, ingredienti molto usati nella cucina napoletana povera delle epoche passate. Oggi la farina di miglio è stata sostituita dalla semola di grano duro e l’uso del sangue di maiale mai ben visto dalla Chiesa e anche dalla borghesia è stato sostituito da altri ingredienti quali zucchero, ricotta, uova, aroma alla vaniglia. Il migliaccio va cotto in un tegame alto, preferibilmente di rame o in alternativa di alluminio. Si serve spolverandolo con lo zucchero. Di facile preparazione ed economico, il migliaccio, conquista il palato fin dal primo morso.
Le chiacchiere, di cui esistono varianti nelle varie regioni italiane, sono croccanti sfoglie dai bordi seghettati, di pasta dolce fritta, coperte di zucchero a velo. Si è soliti gustarle, accompagnandole con il sanguinaccio: crema di cacao, cioccolato, zucchero e farina in cui, l’ingrediente principe del passato, oggi non più in uso, era il sangue di maiale.
E dulcis in fundo, questo è proprio il caso di dirlo, le zeppole o graffe.
Il nome deriva dal tedesco Krapfen. Sono ciambelle di pasta brioche fritta, coperte di granelli di zucchero.
Si trovano nelle pasticcerie tutto l’anno, ma pochi sanno che sono nate come dolce del periodo carnevalesco. Beh, cos’altro aggiungere se non buon appetito.
Maria Rosaria Pianese