“Na vote all’anne ‘Ddio ‘o cumanne” dice un detto napoletano che esprime alla perfezione l’essenza del Carnevale: sovvertire, almeno una volta in un anno, l’ordine prestabilito, le regole, le norme, le convenzioni sociali e darsi al divertimento senza inibizioni e all’abbondanza, prima appunto di “carnem levare”, cioè di smettere di mangiar carne, a partire già dalla Quaresima, periodo di rinunce e penitenze che anticipa la Pasqua e giorno successivo al martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale, la cui data d’inizio si fa generalmente coincidere con l’Epifania.
Il Carnevale di Venezia e Viareggio sono tra i più famosi e antichi d’Italia, ma anche il Carnevale partenopeo ha la sua antica storia e tradizione. A Napoli la data d’inizio del Carnevale è il 17 gennaio, giorno dei falò di Sant’Antonio Abate. Si dice affondi le sue radici nei riti Baccanali e Saturnali romani e nella farsa atellana. Testimonianze certe della celebrazione del Carnevale si hanno a partire dal 1400.
Il Carnevale napoletano al tempo degli Aragonesi era per il diletto di dame e cavalieri, per la nobiltà, insomma, che in maschera partecipava a balli e suntuosi banchetti.
È nel 1500 che dalle ricche dimore nobili, il Carnevale si riversa nelle strade, tra il popolo che mascherato si diverte tra balli, canti licenziosi e rappresentazioni buffonesche.
Il 1656 è l’anno della sfilata dei carri della cuccagna. Carrozzoni lignei ospitavano non solo rappresentazioni comiche ma “ogni ben ‘e Dio”, come si dice da queste parti. Un colpo di cannone da Castelnuovo sanciva l’apertura del “buffet”, sul quale il popolo affamato si fiondava, suscitando il divertimento della nobiltà. Talvolta le cuccagne finirono nel sangue. Il popolo affamato assalì le guardie che cercavano di contenerli nella loro corsa sfrenata alla grande abbuffata. Le guardie a loro volta fecero fuoco sul popolo affamato.
E così nel 1769, con grande rammarico popolare, le cuccagne furono soppresse ma il Carnevale “must go on”. Al suono delle tofe ( grossi conchiglioni), i Napoletani si riversavano nelle strade tra coriandoli, carte colorate e perché a carnevale ogni scherzo vale anche uova e farina. E il suono dello scetavaiasse e del triccaballacche accompagnava la baldoria e l’accresceva al tempo stesso, mentre, in tempi più recenti, Pullecenella tentava di cavalcare a Vecchia o Carnevale, donna dal corpo avvenente con il viso coperto da una maschera da vecchia. Spostandoci, poi,dal capoluogo campano alle sue province, provincia che vai, tradizione che trovi.
A Montemarano, gli avellinesi in maschera si sfidano nella tarantella montamaranese : una vera e propria gara di ballo all’insegna della resistenza ad un ritmo sempre più veloce.
A Benevento non c’è carnevale senza a Vecchia cu sasicchiu, il “dolcetto o scherzetto” campano.Bambini mascherati, bussando alla porta dei propri compaesani ricevono in dono dolci e salsicce.
Maria Rosaria Pianese